martedì 8 gennaio 2013

Obesità: una responsabilità individuale?

Introduzione

L'obesità è in crescita nelle società occidentali, ed anche in Italia, stando all'ultima edizione del rapporto OCSE "Health At A Glance Europe" 2012. Se, infatti, molti giornali cantano vittoria esclamando che  l'obesità è in aumento in Europa mentre l'Italia sarebbe salva, ecco come stanno, in realtà, le cose:
  • a pag. 62 si vede che siamo al penultimo posto in Europa per il tasso di obesità tra gli adulti, fatto molto positivo, ma  si vede pure che il tasso è in aumento negli ultimi anni;
  • a pag. 53 si vede che il tasso di obesità infantile è, per l'Italia, maggiore rispetto alla media europea, il che ci fa capire che in futuro peggiorerà anche la statistica precedente; comunque il tasso si mantiene stazionario negli ultimi 10 anni, dopo essere aumentato precedentemente.

L'obesità è dunque in aumento anche nel nostro paese, e si vuole qui riassumere cosa se ne sa a livello scientifico e sociale, per mettere a fuoco la distinzione tra responsabilità individuale e collettiva.

La responsabilità individuale

Ho già presentato il rapporto WHO del 2003 sulla correlazione tra alimentazione e malattie croniche; tra esse l'obesità riveste un ruolo di primo piano in quanto cofattore di un buon numero delle altre. La cosa interessante, qui, è che il rapporto del 2003 ha per la prima identificato i singoli fattori che influiscono sull'obesità; li ripeto qui per facilità di lettura:
  • C+ elevata assunzione di cibi ad alta densità energetica;
  • C- elevata assunzione di fibra alimentare;
  • C- assunzione di frutta e verdura, a causa del loro contributo all'assunzione di fibra alimentare;
  • P+ assunzione di bibite e succhi di frutta zuccherati;
  • C- attività fisica regolare;
  • C+ stile di vita sedentario;
  • P- per i bambini: allattamento al seno esclusivo;
  • P- per i bambini: ambiente scolastico e familiare che promuova scelte salutari sul cibo;
  • P+ pesante marketing sui cibi ad alta densità energetica e sui ristoranti fast-food;
  • P+ situazione socio-economica avversa.
I primi fattori sembrano puntare esclusivamente verso la responsabilità individuale per le scelte alimentari e di stile di vita sbagliate, mentre gli ultimi tre paiono puntare il dito verso l'ambiente sociale ed i condizionamenti da esso prodotti sull'individuo.
Tutti noi siamo abituati a pensare ai problemi di sovrappeso ed obesità solo in termini personali, andando magari pure ad esprimere giudizi circa la condotta di chi è obeso, in quanto lo percepiamo come primo responsabile del proprio stato col suo comportamento.
I media, giornali e TV soprattutto, certo non aiutano a riflettere serenamente sulla questione, dato che sono sempre schierati verso la responsabilità individuale: così si trovano a bizzeffe diete e consigli dietetici su rivuste e giornali, e trasmissioni sempre nuove in TV in cui i "grassoni" vengono messi alla prova per il dimagrimento più o meno forzato, grazie ad esercizi più o meno pesanti e/o di diete più o meno salutari, e sempre con un costante senso di colpa per il proprio stato attuale, instillato ad hoc se non già presente nell'individuo, quale presunta forza motivazionale.

Ebbene, un recente documentario della BBC (luglio 2012, poco prima delle Olimpiadi di Londra 2012) ha mostrato come la responsabilità individuale e la mancanza di esercizio fisico siano proprio le argomentazioni tipiche usate dall'industria del cibo per sollevarsi d'ogni responsabilità, e sono anche ciò che consente ai governi (con poche eccezioni in Europa) di lavarsene le mani.
E certamente, questo sito promuove divulgazione scientifica nella speranza di educare il singolo lettore verso scelte alimentari migliori nel futuro, ma è del tutto evidente che ci sia una enorme pressione sociale e culturale verso il "mangiare normale" che rende difficile, se non impossibile, l'applicazione di scelte individuali "diverse".
Certamente, il documentario mostra la realtà del mondo anglosassone, che è ancora piuttosto diversa dalla nostra (sedicente) sana alimentazione "mediterranea" (cosa questo termine indichi esattamente è ancora ampiamente dibattuto!). Ma non si può negare quanto forte sia, qui da noi, la spinta "culturale" verso alimenti "tradizionali" che, per povertà nutrizionale e densità calorica, sono facilmente assimilabili al "junk food" tipico del mondo anglosassone.

Dunque la linea fondamentale del documentario rimane valida anche per la realtà italiana: essendo gli ultimi 10.000 anni, con la comparsa dell'agricoltura e delle prime forme di allevamento, del tutto irrilevanti dal punto di vista evolutivo di fronte agli almeno 2 milioni di anni complessivi di esistenza della nostra specie, si considera l'essere umano ancora geneticamente programmato per la vita da cacciatore e raccoglitore, tipica del periodo Paleolitico; in tale scenario è ovviamente molto rara la reperibilità di alimenti ad alta densità energetica (es.: cacciagione, noci, semi) e/o particolarmente dolci (es.: miele); inoltre, la nostra biochimica energetica è tutta basata sul glucosio che, non a caso, ci risulta dolce e piacevole; l'altra normale fonte di zuccheri è la frutta, il cui zucchero è principalmente in forma di fruttosio, poco concentrato (in generale, meno del 10% in peso) ed accompagnato da una lunga serie di sostanze attive a livello biologico che ne aiutano e dirigono l'assimilazione.
Perciò ci ritroviamo praticamente programmati per una naturale inclinazione verso il sovra-consumo di alimenti dolci e/o nutrizionalmente densi ogni qualvolta li incontriamo. Questo è un dato di fatto, che bisogna accettare per poter comprendere il resto della storia.

Il documentario, in sintesi, mostra come siano, in realtà, proprio gli zuccheri aggiunti nel cibo a rappresentare la principale fonte di problemi di salute legati all'alimentazione.

Questo fatto, unito alle già note considerazioni sull'indice glicemico degli alimenti, che mostrano come le farine di grano tenero e più bianche (0 e 00) siano assimilabili allo zucchero per l'impatto che hanno sul nostro metabolismo, portano a comprendere la reale pericolosità per la salute che deriva dal consumo persino degli alimenti per noi più "normali", pane bianco in testa!

I problemi di salute legati all'alimentazione sono dunque dovuti alle nostre scelte individuali?
Oppure un intervento legislativo, regolamentando più strettamente la vendita degli alimenti, faciliterebbe la diffusione di comportamenti  più salutari nel pubblico?
E che dire delle nostre "tare" tradizionali, col loro carico di farine bianche, zuccheri, grassi, ecc.?

Si può qui concludere affermando che, anche per un problema di obesità individuale (non essendoci ancora un allarme di "epidemia" nel nostro paese) la responsabilità non va addebitata al singolo individuo obeso, ma va invece principalmente ricercata nel suo ambiente (casa, famiglia, lavoro, ecc.) e nei comportamenti indotti da un sistema di tradizioni, volontà speculative dei produttori, e latitanza della politica.

Quindi la soluzione di un problema di obesità individuale non può essere raggiunta in modo stabile puntando solo sulla forza di volontà del singolo, facilmente abbattibile dal corposo sistema anzidetto, ma va pianificata mediante interventi a tutti i livelli; questo sito vuole aiutare ad affrontare il primo livello, quello della cultura personale che possa aiutare a forgiare una sufficiente forza di volontà; gli altri livelli (familiare, sociale, nazionale e globale) vanno ovviamente affrontati diversamente.

Questo sito riporta già una notevole quantità di informazioni per delineare una dieta personale sostenibile e salutare (es.: vedi piano dietetico gratuito), e molte altre informazioni sono in attesa di pubblicazione; il supporto necessario ad affrontare con maggiore completezza possibile il problema dell'obesità può essere ricercato sui siti delle associazioni di settore (mediche e non), ad esempio:




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